lunedì 26 febbraio 2007

Noi siamo persone

I miei occhi sono fissi su una finestra sopra la mia stanza; due piccioni si stanno becchettando; mi viene da sorridere e li guardo con invidia, perché loro sono liberi di andare e venire, di volare via e vedere il mondo. Ma io no. Sono bloccato su una sedia a rotelle. Nel descrivere la mia persona mi viene un groppo alla gola. Vecchio e infermo su una sedia che odio, bisognoso di tutto, anche delle cose più semplici: un bicchiere d'acqua, alzarmi da una sedia, mangiare una mela, non ho più la capacità di muovermi; ho bisogno di aiuto. Mentre la mia mente mi riporta ai ricordi di un tempo, arriva nella mia camera, che io divido con altre persone come me, un' infermiera, mi guarda e mi dice: "ti devo portare in sala pranzo e tu ti sei pisciato addosso, ora tu te la tieni, perché lo sai più di quattro volte al giorno non ti possiamo cambiare. Questa puzza la puzza di orina che senti sempre notte e giorno è il nostro profumo ed io allora mi agito le vorrei rispondere, ma riesco solo a balbettare poche frasi sconnesse mentre lei spinge la carrozzella al posto che mi è stato assegnato.
Davanti a me c'è Arturo,un altro infelice, morbo di Alzhaimer,certo ci si guarda e basta che lui faccia eee che io gli risponda aaa; poi l'infermiera arriva e ci fa mangiare,anzi ci ingozza come polli, dicendo "forza ci sono anche gli altri che aspettano", ed io le vorrei dire "già fa schifo quello che ci fate mangiare", perchè non si capisce che roba possa essere e poi io non sono un lavandino ed il mangiare mi esce dalla bocca cascandomi addosso. . ed ecco subito il rimprovero delle infermiere "ora anche il vestito ti si deve cambiare" e la frase è sempre la stessa oggi non è giornata e per me la giornata è sempre uguale.
"Via adesso ti portiamo in sale" ,ed è li che vengo parcheggiato in una parte della stanza. Se ho fortuna vedo la televisione , altrimenti ci si guarda tutti in faccia e mi domando: chissà a cosa pensa ogniuno di noi, coi propri drammi ed i propri ricordi. Quelle teste chinate, quegli occhi stralunati, sono occhi che chiedono una carezza, una parola d'amore e invece diventiamo invisibili; per fortuna non è cosi per tutti, ma soprattutto è la società che ci circonda che è indifferente alle nostre sofferenze. Dimenticandosi che ogni cittadino si può trovare nella nostra stessa situazione,perché la vecchiaia è la porta della morte e non tutti abbiamo la fortuna di poter vivere una vecchiaia serena accanto ai nostri familiari. Ma la spada della vita oggi colpisce me domani può toccare a te.
L'essere umano è un'altra cosa; non è solo un corpo fisico che ci ha lasciato,ma la nostra mente è attiva, sentiamo il nostro respiro, viviamo coi nostri ricordi e accettiamo i nostri pensieri senza provarne paura.E' perdere la nostra dignità che ci fa paura.
E allora cerchiamo di cambiare il nostro modo di pensare e di cominciare ad agire: fatelo insieme a noi

Associazione Adina Bartoletti Bruno

7 commenti:

mariuccio ha detto...

La maggior parte delle persone che leggeranno questo articolo probabilmente non continueranno nella lettura perché ne emerge un quadro di disagio se non addirittura di sofferenza.
In questa società così improntata ormai al più miope individualismo, al materialismo più aggressivo, che causa stress e dissociazione anche nei più normali comportamenti, si tende ad ignorare ciò che può determinare attenta riflessione sulle problematiche incombenti, attenzione filantropica al “diverso” ed a rimuovere tutto ciò che può alterare anche il più effimero equilibrio politico-sociale, specialmente se questo viene disturbato dalla mancata risoluzione di problemi che non appartengono, per il momento, alla sfera strettamente personale.
Purtroppo queste realtà esistono e sono sempre più frequenti e sempre più a livello strettamente familiare in cui i componenti anziani ed anche i parenti non più autosufficienti possono rimanere a totale carico della famiglia; sono problemi che possono interessare ognuno di noi e che non si possono esorcizzare con la scelta di ignorarne l’esistenza. Allora, quando la cosa ti tocca personalmente, diventa un problema enorme e per quelli meno fortunati addirittura insormontabile a causa della sensazione di solitudine, di abbandono, di mancanza di costruttivo confronto: non sai più a chi rivolgerti.
Non so quante persone conoscono le problematiche relative alla salvaguardia dei diritti dei cittadini più deboli e quali sono i costi che devono essere sopportati nelle strutture preposte, pubbliche o private, per poter cercare di garantire un’esistenza sufficientemente decorosa e sopportabile, sia al malato che ai propri familiari.
Qui non si tratta né chiacchiere insulse né di demagogia spicciola; chi scrive conosce in prima persona queste realtà ed ha contatti quotidiani con le persone che versano in gravi difficoltà economiche e sanitarie.
Quando una persona è vecchia e non più capace di azioni autonome diventa un peso per i familiari ed anche per la società, determinando problematiche di difficile soluzione; anche se certi cartelloni pubblicitari per le strade di Firenze e molti volantini ci mostrano vecchietti arzilli e “tutelati” dagli enti preposti che li mantengono, bontà loro, il più a lungo possibile autosufficienti e autonomi. Ma non sempre la situazione in loco presenta risvolti così positivi e allettanti: c’è chi invecchia male e, pur non essendo in grado di autogestirsi, mantiene la lucidità di comprendere appieno in quale tragica situazione si trovi e in quali disagi metta, suo malgrado, i propri familiari; e allora questa vecchiaia già di per se stessa così compromessa può diventare anche motivo di dissapori all’interno dei nucei familiari, composti spesso loro stessi da persone anziane.
L’ Associazione A.DI.N.A. non ha la bacchetta magica per risolvere tutti i problemi, ma offre la possibilità di far condividere le esperienze parlandone insieme, con persone che hanno le stesse o analoghe difficoltà; non si tratta di un semplice sfogo o seduta di tipo psicologico o terapeutica.
Si cerca tutti insieme di trovare le possibili soluzioni in maniera da superare fattivamente tutti quegli ostacoli che puntualmente vengono posti dalle istituzioni tramite le persone che le rappresentano e che, per mancanza di conoscenza o professionalità o altro … di peggio, non offrono tempestivamente agli utenti che richiedono prestazioni socio-sanitarie quelle specifiche informazioni che potrebbero metterli in grado di risolvere le difficoltà con l’aiuto degli enti preposti.
Non risolviamo tutti i casi che ci vengono presentati, ma cerchiamo di affrontarli insieme sostenendo i nostri associati sia moralmente che, soprattutto, con il generoso aiuto di esperti dei diritti e persone competenti in vari campi del sociale che si offrono spontaneamente di seguire tutte quelle pratiche non altrimenti risolvibili da soli.

A.DI.N.A. ha detto...

Ci sentiamo un po' fra l'incudine e il martello, noi familiari di anziani ricoverati in R.S.A. (Residenza Sanitaria Assistita).
Siamo affettivamente molto legati ai nostri vecchi e non ci consola vederli come li vediamo tutti i giorni, privi della loro autonomia, vivacità, appoggiati qua o là su una poltrona, un letto... e vedendo in loro la proiezione del nostro possibile futuro. Siamo anche consapevoli di non poterli più assistere noi, nelle nostre case e famiglie, e anche questo ci pesa: ma abbiamo vissuto come una liberazione (lo diciamo senza vergogna) il momento in cui sono stati accolti nella R.S.A.
Abbiamo avuto fiducia che le istituzioni, il Comune e la A.S.L., facessero tutto il possibile per dare garanzie e risposte al loro bisogno di assistenza , perché è un loro diritto essere curati anche da vecchi.
Abbiamo sperato che le R.S.A. sebbene ci dovessero fare un profitto su questo lavoro, avessero sempre la caratteristica e la consapevolezza di operare su una sfera "debole" di cittadini.

Invece sempre di più ci sentiamo soli e delusi.
I servizi del Comune, una volta che i nostri vecchi sono ricoverati, non se ne danno più cura, a volte non sanno neppure se sono vivi o morti; lo stesso Comune decide dove mandare i nostri vecchi, fissa le rette con le R.S.A. e non fa nessun controllo su come vengono trattati e come vengono spesi i soldi, però continua a pretendere rette insostenibili dalle famiglie, anche se tutti sanno ormai che non siamo tenuti a contribuire in base alle leggi dello Stato; neppure la A.S.L. fa controlli, o se li fa non ne vediamo gli effetti. Però la A.S.L. spende circa 2 milioni di lire al mese per ogni persona (daltronde, sono persone riconosciute affette da patologie quindi dovrebbero essere completamente a carico del servizio sanitario) e il Comune (direttamente o prelevando dalle nostre tasche) circa 3 milioni: ora, visto che la cifra della A.S.L. copre l’assistenza diretta alla persona, l’assistenza infermieristica e l’assistenza riabilitativa di recupero e di mantenimento, non è neppure una cifra modesta la cosiddetta quota sociale pagata dal Comune o dalle famiglie per la pulizia dei locali, il cibo e poco altro.
Le R.S.A., da parte loro, con qualche distinzione perché non sono proprio tutte uguali, stanno facendo un servizio che va progressivamente a peggiorare, non fosse che per il personale che cambia continuamente (spesso sono appalti di cooperative o altro), è poco professionale e poco motivato, ed è anche poco numericamente. Per di più, adesso che la convenzione con il Comune è in scadenza, ci fanno sapere che potrebbero anche chiudere, che non sanno cosa faranno dei nostri vecchi, che i costi lievitano, ecc.
Adesso siamo stanchi: siamo stanchi di essere sfruttati e usati: sappiamo bene che le istituzioni hanno il dovere di provvedere all’assistenza degli anziani non autosufficienti; sappiamo bene che le R.S.A. non hanno la vocazione all’assistenza ma lo fanno per il loro profitto. Allora, sbrigatevela fra voi, non speculate più sul nostro coinvolgimento affettivo: fate come se noi non ci fossimo, perché sul piano della legge NOI NON ESISTIAMO, nel senso che voi vorreste.
Il Comune deve affrontare questo tema senza paternalismi, ascoltare le nostre richieste e suggerimenti per stabilire davvero un patto di solidarietà con i cittadini, e che dica onestamente se ha qualche progetto serio per garantire dignità ai vecchi di oggi e di domani.

A.DI.N.A. ha detto...

I nostri associati hanno un’età media piuttosto alta, ed hanno genitori anziani affetti da patologie molto gravi e non autosufficienti. Ognuno di noi è portatore di un’esperienza molto dolorosa, talvolta disperata. Provate ad immaginare la situazione di una famiglia in cui un ultraottantenne perda la sua autosufficienza (fisica e/o mentale): la vita della famiglia viene stravolta dalla necessità di assistere giorno e notte l’anziano, provvedere alle sue necessità fisiologiche, alzarlo, lavarlo, .... ogni giorno spesso per anni. I figli sono persone già loro avanti con gli anni, con i problemi di salute che cominciano a farsi pesanti. Allora cominciano a chiedere aiuto: se le condizioni economiche lo consentono, cercano una persona extracomunitaria (e anche qui ci sarebbe un lungo discorso da aprire, ma adesso mi porterebbe troppo lontano); se le condizioni economiche non lo consentono si rivolgono ai servizi sociali. Da qui in avanti è il calvario: un mese per un appuntamento con l’assistente sociale, proposte di assistenza domiciliare che si concretizza in qualche ora settimanale (e che costa non poco), richiesta di ricovero in qualche struttura per tentare una riabilitazione quando vi sia stata una caduta, o in centri con reparto alzheimer, quando ci sia questa patologia: liste di attesa di oltre 150 persone: si aspetta che i posti si liberino quasi esclusivamente per decessi. Non di rado capita di sentirsi dire che non si ha voglia di prendersi cura dei nostri vecchi; ho conosciuto famiglie che si sono divise per queste difficoltà, donne che hanno avuto infarti o ischemie per lo stress di assistere la madre: in realtà anche questi vecchi hanno diritto ad una vecchiaia dignitosa e a non gravare sui figli: hanno lavorato e pagato i contributi sanitari per essere assistiti, anche da vecchi.

A.DI.N.A. ha detto...

Circa due milioni di famiglie italiane sono scese sotto la soglia di povertà per far fronte al carico di spese sostenute per la cura di un componente affetto da una malattia cronica e la devastante caduta in povertà continuerà ancora se non saranno fermate le richieste di contributi economici avanzate illegalmente dagli enti pubblici, in particolare dai Comuni, a quelle famiglie il cui congiunto, anche non convivente, sia stato sfortunatamente colpito da malattia invalidante.
In tutta Italia, specialmente nel nord, sono in corso raccolte di firme per chiedere che i nuclei familiari in cui siano presenti parenti handicappati in situazione di gravità, malati psichici o anziani ultra-sessantacinquenni non autosufficienti (assistiti presso centri diurni o ricoverati presso Residenze Sanitarie Assistenziali, Case di riposo ecc.) non siano più tartassate economicamente, ma aiutate.
Anche l’ A.DI.N.A. di Firenze, Associazione per la Difesa dei Diritti delle Persone Non Autosufficienti, si farà promotrice di due petizioni: una rivolta al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e l’altra al Presidente della Regione ed ai Sindaci dei Comuni competenti per indurre gli enti pubblici (Regioni, Comuni singoli e associati, A.S.L.) ad applicare correttamente la vigente legislazione che non prevede la partecipazione al versamento di rette o di qualsiasi altro contributo da parte di familiari di persone assistite.
Tutti i cittadini sono pertanto invitati a sottoscrivere queste petizioni per tentare di bloccare definitivamente il comportamento illegittimo degli enti pubblici, che non hanno il diritto di imporre contributi economici o di far firmare impegnative al riguardo sia a parenti non conviventi sia a congiunti, anche se conviventi, di ultra-sessantacinquenni non autosufficienti e di soggetti con handicap grave, fisico o mentale. Oltretutto, secondo la vigente Legge Quadro sull’ assistenza, soltanto il singolo assistito è tenuto, se del caso, a coprire le spese per il servizio erogato utilizzando il patrimonio personale e gli enti pubblici non possono neppure pretendere contributi economici dai parenti non conviventi degli assistiti maggiorenni diversi da quelli in precedenza indicati, compresi quelli tenuti agli alimenti. Infatti, gli alimenti possono (non devono) essere richiesti esclusivamente dalla persona in stato di bisogno (o dal suo tutore se dichiarato interdetto) e da nessun altro individuo o ente. E’ molto esplicativo il fatto che l’art. 32 della Costituzione garantisca «cure gratuite agli indigenti» senza porre alcun limite in relazione alle condizioni economiche dei parenti, compresi quelli tenuti agli alimenti (anche le esenzioni dai ticket sanitari sono previste indipendentemente dalla presenza nell’ambito dei congiunti, di persone abbienti).
Per concludere, i nostri amministratori hanno dimenticato che gli anziani cronici non autosufficienti sono persone malate che, come tutti i malati, devono essere curati dalla sanità gratuitamente perché hanno pagato, come cittadini, all’ interno di quanto versato per il Servizio Sanitario Nazionale, proprio per essere curati anche nel caso di patologie inguaribili.

Unknown ha detto...

In base alle leggi in vigore da quasi mezzo secolo (leggi 692/1955, 132/1968, 386/1974, 180 e 833 /1978) il Servizio sanitario nazionale è obbligato a fornire gratuitamente e senza limiti di durata le necessarie prestazioni agli anziani cronici non autosufficienti, ai malati di Alzheimer ed ai pazienti psichiatrici, compreso il ricovero in ospedali e case di cura private convenzionate.
I soggetti di cui sopra, che, pur non essendo previsto da nessuna legge dello Stato, accettano di essere ricoverati presso strutture del settore dell'assistenza sociale (comunità alloggio, istituti, case di riposo, Rsa - Residenze sanitarie assistenziali, ecc.), sono tenuti a corrispondere una retta in base ai loro redditi, compresa l'eventuale indennità di accompagnamento. Nella determinazione della quota a carico dei ricoverati, i Comuni dovrebbero tener conto dei loro obblighi familiari (mantenimento del coniuge, dei figli invalidi e di altri congiunti), nonché dei loro impegni economici (rimborso prestiti, mutui, ecc). Ai soggetti ricoverati dovrebbe essere riservata una quota per le spese non a carico dell'istituzione (ad esempio, per l'abbigliamento) nonché per le piccole spese personali.
Con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del 6 giugno scorso del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri "Atto di indirizzo e di coordinamento in materia di prestazioni sociosanitarie" in attuazione dell'art. 3 septies, del decreto legislativo 502/1992, i Comuni dovrebbero applicare il decreto legislativo 130/2000. Questo decreto stabilisce che i Comuni, le Province, le Asl e gli altri enti pubblici devono prendere in considerazione la situazione economica del solo assistito (e quindi non quella dei congiunti, anche se conviventi e/o tenuti agli alimenti ai sensi dell’art. 433 e seguenti del codice civile). Infatti, per le prestazioni sociali "erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave, di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertato ai sensi dell’articolo 4 della stessa legge, nonché a soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali, le disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la solidarietà sociale e della sanità". Gli enti pubblici non possono pretendere contributi economici dai parenti tenuti agli alimenti di assistiti maggiorenni. Si ricorda, fatto importantissimo, che l’articolo 2, comma 6 dello stesso decreto legislativo 130/2000 non solo precisa che le nuove disposizioni "non modificano la disciplina relativa ai soggetti tenuti alla prestazione degli alimenti ai sensi dell’articolo 433 del codice civile" ma stabilisce che le stesse disposizioni "non possono essere interpretate nel senso dell’attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all’articolo 438, primo comma, del codice civile nei confronti dei componenti il nucleo familiare del richiedente la prestazione sociale agevolata". Resta, dunque, confermato, come precisa l’articolo 438 del codice civile, che "gli alimenti possono essere chiesti SOLO da chi versa in stato di bisogno e non é in grado di provvedere al proprio mantenimento". Dunque gli alimenti possono essere richiesti solo dall’interessato (o dal suo tutore se é stata pronunciata l’interdizione) e da nessun altro ente o persona. La precisazione contenuta nel decreto legislativo 130/2000 non fa altro che confermare che gli enti pubblici non possono pretendere contributi dai parenti degli assistiti maggiorenni come era stato disposto dalle note del Direttore generale del Ministero dell’interno del 27 dicembre 1993, prot. 12287/70 e dell’8 giugno 1999, prot. 190 e 412 B.5, del Capo dell’Ufficio legislativo del Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 15 aprile 1994, prot. DAS/439O/1/H/795, del 28 ottobre 1995, prot. DAS/13811/1/H/795 e del 29 luglio 1997 prot. DAS/247/UL/1/H/795 e della lettera inviata dal Capo dell’Ufficio legislativo del Ministro per la solidarietà sociale in data 15 ottobre 1999, prot. DAS/625/UL-607 all’Anci nazionale, dal parere fornito in data 18 settembre 1996, prot. 2667/1.3.16 dal Direttore del Servizio degli Affari giuridici della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, dalla risposta fornita dall’Assessore all’assistenza della Regione Piemonte in data 7 marzo 1996 ad una interrogazione, dai provvedimenti assunti dal Coreco di Torino in data 13 dicembre 1995 n. 36002, 1° agosto 1996, n. 11004/96 bis e 31 luglio 1997 n. 9152/97 bis e dalla sentenza del TAR del Veneto n. 1785/1999.
L’illegittimità delle richieste di contributo avanzate dagli enti pubblici nei confronti dei parenti tenuti agli alimenti di persone maggiorenni assistite è ancora più grave ove si consideri che l’ente pubblico non solo si arroga un diritto che non ha, ma pretende anche di determinare l’importo che dovrebbe essere versato dai congiunti, arrivando addirittura a sostituirsi al giudice. Infatti il 3° comma dell’art. 441 del codice civile stabilisce quanto segue: "Se gli obbligati non sono concordi sulla misura, sulla distribuzione e sul modo di somministrazione degli alimenti, provvede l’autorità giudiziaria secondo le circostanze".Ricordiamo, infine, che rispettando le norme vigenti, i competenti organi centrali dello Stato, per la concessione delle pensioni sociali e di invalidità e per l’integrazione al minimo delle pensioni INPS, non hanno mai tenuto conto dei redditi dei parenti tenuti agli alimenti, coniuge escluso. A loro volta i Comuni, per le prestazioni fornite dagli asili nido e dalle scuole materne, nonché per i soggiorni di vacanza di anziani e per le molteplici attività di tempo libero, non si sono mai rivolti ai parenti tenuti agli alimenti, nel caso in cui i genitori dei bambini o gli altri utenti non fossero in possesso dei mezzi economici necessari per il pagamento dell’intera prestazione.
Nel caso in cui i Comuni, le Province, le Asl e gli altri enti pubblici non approvassero i dovuti provvedimenti per dare applicazione al decreto legislativo 130/2000, è necessario che i soggetti con handicap grave (assistiti a domicilio o frequentanti centri diurni o ricoverati presso comunità alloggio o istituti) o coloro che li rappresentano assumano le occorrenti iniziative al fine di ottenere la dichiarazione di gravità prevista dagli articoli 3 e 4 della legge 5 febbraio 1992 n. 104. Ad avviso di molti Enti pubblici la suddetta dichiarazione deve essere richiesta anche da coloro che percepiscono l’assegno di accompagnamento. Per quanto riguarda gli ultrasessantacinquenni, occorre che sia stata rilasciata dalle Unità valutative geriatriche la certificazione di non autosufficienza.
Per poter ottenere che i Comuni, le Province, le Asl e gli altri enti pubblici, non richiedano più contributi ai congiunti di soggetti con handicap grave o di ultrasessantacinquenni non autosufficienti, occorre che coloro che hanno sottoscritto con i suddetti enti pubblici impegni di pagamento per il ricovero dei loro congiunti inviino all’ente interessato una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno come da fac-simile disponibile nella sede dell’A.DI.N.A.. Se l'impegno di pagamento della quota non coperta dai redditi dell'assistito (handicappato grave o ultrasessantacinquenne non autosufficiente) è stato sottoscritto da un congiunto nei confronti di una Ipab (Istituzione pubblica di assistenza e beneficenza) o di un ente privato, occorre tener conto che si tratta di un vero e proprio contratto. In via generale, il parente dovrebbe inviare al Comune competente (e cioè a quello di ultima residenza dell'assistito prima del ricovero) e al responsabile dell'ente in cui la persona è ricoverata due lettere raccomandate con ricevuta di ritorno, come da fac-simile disponibile nella sede dell’ A.DI.N.A..
Per i malati di Alzheimer ed i pazienti psichiatrici non autosufficienti di età inferiore ai 65 anni, è auspicabile che i Comuni, al fine di prendere in considerazione la situazione economica del solo assistito, li equiparino agli ultrasessantacinquenni non autosufficienti, oppure accettino la certificazione di soggetti con handicap grave e permanente. In caso contrario, i Comuni possono applicare le norme sul redditometro (decreto legislativo 109/1998) che fanno riferimento al reddito familiare.
(Liberamente tratto da Prospettive Assistenziali, Torino: http://www.tutori.it/PA.html)

Anonimo ha detto...

Vogliamo riprendere la questione delle persone affette da gravi malattie alle quali sempre più spesso viene negato il riconoscimento della caratteristica “sanitaria” delle prestazioni, senza dubbio con lo scopo di procedere ad una progressiva riduzione della spesa.
E’ noto nei fatti che, mentre la prestazione sanitaria è tuttora competenza e responsabilità - anche economica - del Servizio sanitario Nazionale, la prestazione assistenziale/sociale è a carico degli Enti Locali i quali sempre più tendono, attraverso Regolamenti spesso illegittimi, a coinvolgere le famiglie nel sostenere le spese.
E’ di particolare importanza quindi che recentemente il Consiglio di Stato abbia emesso tre sentenze nelle quali riconosce la competenza delle Aziende Sanitarie nel trattamento di persone affette da gravi malattie, nello specifico di tre persone affette da grave insufficienza mentale. L’elemento centrale delle sentenze può individuarsi nel riferimento al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 febbraio 2001 “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie”, laddove specifica che si considerano di carattere sanitario “i trattamenti volti al contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite”.
Sono molti i casi in cui, in presenza di patologie che non prevedono allo stato attuale possibilità di guarigione, le A.S.L. procedono a dimissioni ospedaliere anche laddove le famiglie esprimono grandi difficoltà a provvedere alle necessità del congiunto. In questi casi la dimissione non può procedere se non per trasferimento in strutture che garantiscano la necessaria assistenza sanitaria.
Va da sé che l’atteggiamento del Governo con la continua riduzione dei finanziamenti sul servizio sanitario ed i tagli sui trasferimento agli Enti Locali, di fatto imponga ai cittadini situazioni di sempre maggiore difficoltà. Ma Regioni e Comuni sono chiamati a rendere palese questo attacco allo stato sociale e ai diritti delle persone, piuttosto che a gestire una situazione sempre più difficile scaricando di fatto il peso sulle famiglie
E’ infine notevole che gli attori delle sentenze sopra richiamate siano sempre A.S.L. da una parte e Comuni dall’altra: è evidente da questo che le pretese delle A.S.L. trovano un freno – attraverso il percorso giudiziario – quando dall’altra parte vi sia un soggetto che può sostenere le spese e i tempi di tale percorso, come sono i Comuni; tale possibilità è per lo più non praticabile per i cittadini, spaventati da tempi incerti e da spese legali insostenibili e quindi costretti a subire le imposizioni delle A.S.L., a vedere violati i propri diritti, a subire lo stravolgimento della propria vita personale e familiare, a restare col dubbio se non fosse possibile fare di più per il proprio congiunto e per la qualità della sua vita.

Anonimo ha detto...

Gli anziani non autosufficienti e le persone affette da malattie croniche

La legge finanziaria per il 2003, all’art.54, recepisce il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 sui livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEA). Questo decreto ha stabilito che fino al 60% del costo delle cure a lungo termine per le persone con malattie croniche deve essere coperto dai Comuni. I Comuni, a loro volta, impongono agli utenti (e talvolta illegittimamente alle famiglie) quote di partecipazione alla cosiddetta “quota sociale”, in quanto le prestazioni fornite dai Comuni hanno carattere assistenziale e, a differenza di quelle sanitarie, la loro erogazione è subordinata alla verifica della condizione di bisogno economico dell’utente. Ne consegue che vengono esclusi dalle prestazioni sanitarie gratuite coloro che ne hanno più bisogno: le persone non autosufficienti in conseguenza di malattie croniche, persone con disabilità, persone affette da malattie psichiatriche. Questa disposizione è di estrema gravità perché cancella di fatto il diritto alla gratuità delle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione per le persone non autosufficienti, che fino ad ora facevano totalmente carico sul servizio sanitario nazionale. La sanità si farà carico per intero solo della fase intensiva delle malattie, di quelle che hanno durata breve oppure di alcune malattie croniche che hanno una certa rilevanza medica. Ricordiamo che nel corso del 1999 due milioni di famiglie italiane sono scese sotto la soglia di povertà per le spese sostenute per curare una persona con una malattia cronica; e che il diritto alle cure sanitarie gratuite e senza limiti di durata nei casi di malattie della vecchiaia è stato introdotto nel nostro Paese dalle leggi n°841 del 30 ottobre 1953 e n°692 del 4 agosto 1955, con le quali sono stati introdotti prelievi contributivi aggiuntivi, mai abrogati. Una intera generazione di lavoratori e lavoratrici che ha versato una maggiorazione contributiva per assicurare a sé e alle proprie famiglie le cure sanitarie nell’intero ciclo di vita si trova ora, nel momento in cui ha bisogno dei servizi, a non poterli esigere.
E’ necessario che i cittadini siano informati rispetto a queste gravi violazioni dei loro diritti, che peraltro trovano nella Costituzione il loro fondamento. Non vi è dubbio che mentre la Costituzione intendeva garantire il diritto alla salute come bene individuale e collettivo, evidenziando i costi sociali della malattia, l’attuale logica aziendalistica con cui sono gestite le ASL impone il pareggio di bilancio come obbiettivo prioritario e porta alla scomposizione della questione salute in una miriade di casi e circostanze particolari, come si trattasse di prodotti in vendita su scaffali del supermercato. Sappiamo che ci sono alcune proposte di legge depositate al Parlamento che intendono rimettere in discussione la situazione che abbiamo sopra descritta, con particolare riguardo alle persone anziane e alle persone affette da malattie mentali. Saremo molto attenti, laddove i mass media non danno certo particolare risalto a questi temi, e cercheremo di suscitare l’attenzione dei cittadini su questo tema, non appena le proposte andranno alle Commissioni competenti per iniziare l’iter parlamentare.